24 gennaio 2019

La vita avventurosa di un mazziniano “pentito”: le “Memorie politiche di Felice Orsini scritte da lui medesimo per la gioventù italiana”


 


A Napoleone III, Imperatore dei francesi, dalla prigione di Mazas, 14 febbraio 1858.
 
Le deposizioni ch’io feci contro me medesimo in questo processo politico, mosso in occasione dell’attentato del 14 gennaio, sono sufficienti per mandarmi a morte; e la soffrirò senza domandar grazia, si perché io non mi umilierò giammai dinanzi a colui, che uccise la libertà nascente dell’infelice mia patria, e si perché nello stato, in cui mi trovo, la morte è per me un benefizio. Presso alla fine della mia carriera, io voglio nondimeno tentare un ultimo sforzo, per venire in soccorso all’Italia, la cui indipendenza mi fece fino a quest’oggi sfidare tutti i pericoli, affrontare tutti i sacrifizi. Essa fu l’oggetto costante di tutte le mie affezioni; ed è quest’ultimo pensiero, ch’io voglio deporre nelle parole che rivolgo a Vostra Maestà.
Per mantenere l’equilibrio presente dell’Europa, è d’uopo rendere l’Italia indipendente, o restringere le catene, sotto di cui l’Austria la tiene in servaggio. Domando io forse per la sua liberazione, che il sangue dei Francesi si sparga per gl'italiani? No, io non vado fin là. L’Italia domanda, che la Francia non intervenga contro di lei; domanda alla Francia che non permetta all’Alemagna di sostenere l’Austria nelle lotte, che stanno forse tra breve per impegnarsi. Ora è appunto ciò, che Vostra Maestà può fare, quando voglia. Da questa volontà dipendono il benessere o le sciagure della mia patria, la vita o la morte di una nazione, a cui l’Europa va in gran parte debitrice della sua civiltà.
Tale è la preghiera, che dal mio carcere oso dirigere a Vostra Maestà, non disperando che la mia debole voce sia intesa. Io scongiuro Vostra Maestà di rendere alla mia patria l’indipendenza, che i suoi figli hanno perduta nel 1849, per colpa appunto dei Francesi. Vostra Maestà si ricordi, che gl’italiani, tra i quali era mio padre, versarono con gioia il loro sangue per Napoleone il Grande, dovunque piacque a lui di guidarli; si ricordi, che gli furono fedeli sino alla sua caduta; si ricordi, che la tranquillità dell’Europa e quella di Vostra Maestà saranno una chimera, fintantoché l’Italia non sarà indipendente. V. M. non respinga la voce suprema di un patriota sui gradini del patibolo: liberi la mia patria; e le benedizioni di 25 milioni di cittadini lo seguiteranno nella posterità. 



Felice Orsini (1819-1858), patriota romagnolo, morì giustiziato a Parigi quattro settimane dopo aver scritto questa lettera-testamento a Napoleone III.

Il 14 gennaio del 1858 l'Orsini aveva infatti compiuto un attentato, fallito, all’Imperatore francese, al quale non aveva mai perdonato la caduta della Repubblica Romana del 1849 di cui egli era stato, al fianco del Mazzini, uno dei protagonisti.
Una vendetta covata per quasi dieci anni; un progetto, quello di eliminare Napoleone III - che Orsini considerava il principale responsabile della fine del sogno repubblicano - preparato dal patriota senza l’aiuto di Giuseppe Mazzini, dal quale si allontanò per insanabili divergenze politiche.
Tuttavia, proprio perché fallì miseramente, l’attentato all’Imperatore francese contribuì, in un certo senso, alla causa italiana. Le parole dell’Orsini infatti, divenute famose grazie alla pubblicazione della lettera, pochi mesi dopo spinsero Napoleone III e il conte di Cavour verso i famosi accordi di Plombières. Insomma, un destino crudele quello del patriota e rivoluzionario romagnolo, che morì senza sapere di aver avuto il merito, grazie alla sua “penna”, di spingere i francesi a schierarsi al fianco del Piemonte nella seconda guerra d’indipendenza italiana.

La figura dell’Orsini è oggi nota proprio per il tentativo di attentato a Napoleone III, nonché per l’arma utilizzata e da lui inventata: le famose bombe all’Orsini, piene di chiodi e frammenti di metallo che rendevano questi ordigni decisamente “adatti” agli attentati di stampo terroristico-rivoluzionario.
Molto meno conosciute sono invece le sue Memorie politiche, che videro le stampe per la prima volta nel 1858. L’opera era apparsa in prima edizione l’anno precedente, in una versione inglese decisamente più scarna e meno interessante rispetto a quella italiana. Quest’ultima fu infatti radicalmente rivista e ampliata dall’autore. Più azzeccato invece fu il titolo dell’edizione stampata a Edimburgo con i tipi di T. Constable: Memoirs and adventure of Felice Orsini”. Quella dell’Orsini fu infatti una vita decisamente avventurosa, travagliata e ricca di “colpi di scena”.

Ci sono alcuni libri che rapiscono il lettore, che lo prendono in ostaggio. Per gli amanti della memorialistica, soprattutto carceraria, questo è il caso! Il libro del rivoluzionario romagnolo è avvincente, scritto con uno stile piacevole. Un tessuto narrativo pensato con cura. Una lettura affascinante e mai banale, che scorre tra ricordi autobiografici e accadimenti di interesse storico-politico. Appassionanti i capitoli dedicati alla rocambolesca fuga dell’autore dal carcere austriaco di San Giorgio a Mantova, dove venne rinchiuso dopo l’arresto in Ungheria avvenuto nel dicembre del ’54. L’evasione da una fortezza che rappresentava il simbolo della potenza austriaca nel Lombardo-Veneto, dove peraltro trovarono il capestro in quegli stessi anni i martiri di Belfiore, fece grande scalpore all’epoca.
La prima edizione italiana dell’opera andò alle stampe a Torino nel 1858, con i tipi di Degiorgis. Il libro vide poi innumerevoli edizioni successive, tutte aumentate da una interessantissima appendice di Ausonio Franchi (pseudonimo di Cristoforo Bonavino, noto scrittore e teologo genovese).

La ristampa è oggi acquistabile presso i principali online store e disponibile sul web anche in versione gratuita per la lettura. Buona lettura,  
Cristiano Morucci

10 gennaio 2019

Idrologia e turismo negli anni del Risorgimento: incontri a Ischia con i giovani liceali


Il Comitato di Napoli dell'Istituto per la storia del Risorgimento italiano aderisce a un progetto didattico del Liceo statale di Ischia dedicato alla storia del termalismo. I giovani delle ultime classi liceali approfondiscono una figura di primo piano dell'idrologia e della cultura termale italiana, Plinio Schivardi, autore della celebre Guida descrittiva e medica alle acque minerali e ai bagni d'Italia del 1869. L'incontro approfondisce la diffusione della cultura dell'idrologia e della balneazione nel primo Ottocento nel contesto dell'Italia risorgimentale, quando medici e politici di fede liberale compresero l'importanza di garantire l'accesso alle cure e a fasce quanto più ampie di popolazione.